2009 Bari museo provinciale - ferrariarchitetti

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BARI - CONCORSO AD INVITI IL NUOVO MUSEO ARCHEOLOGICO NELL'EX CONVENTO DI SANTA SCOLASTICA - PROGETTO AMMESSO ALLA SECONDA FASE - 4° CLASSIFICATO
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anno: 2009
importo gara: 25.000.000 Euro
categoria: I°d
con: Studio Purini - Roma
committente: Provincia di Bari
ruolo: Componente
esito: invitato alla seconda fase - 4° classificato
Tre ambiti di un problema unitario
Un progetto di restauro è una forma particolare di progetto architettonico. Ogni volta che si costruisce un edificio nuovo si dà vita a una temporalità anch’essa nuova la quale, agendo sull’ambiente nel quale il manufatto appena realizzato viene inserito si contamina, si modifica, cambia il proprio significato, acquistando in tale processo una maggiore complessità, nel momento stesso in cui anche ciò che ad essa preesiste subisce la stessa trasformazione. Nel corso di un progetto di restauro questo processo, già di per sé così ricco di implicazioni e di risonanze da sottrarsi in gran parte alla previsione e all’analisi, è ancora più stratificato, mutevole e polivalente. In effetti in qualsiasi operazione di restauro si determina una condizione tripolare che vede in un vertice la temporalità del contesto che accoglie l’edificio da restaurare, in un altro  quella espressa dall’edificio nella situazione in cui si trova in un dato momento storico, e nell’ultimo la temporalità messa in atto dall’insieme delle scelte progettuali nuove. Nuove perché restaurare un edificio comporta inevitabilmente l’inserimento in esso di una serie di elementi e materiali diversi da quelli originali in quanto l’architettura, arte che prevede l’utilizzazione dei suoi oggetti, richiede che una costruzione sia riabilitata a svolgere nel suo presente, che è anche quello dell’operazione di restauro, una funzione precisa. In altre parole un restauro è sempre un momento di discontinuità che si traduce nella produzione di differenze che non possono non essere profonde, anche se a volte non si rendono visibili. Come ha scritto Cesare Brandi un’opera “non sta nella storia come un sasso in mezzo alla corrente, continua a farsi storia essa stessa e corre con la storia”: in questo senso un edificio finisce con il coincidere con le sue continue mutazioni in un evolvere guidato dal proprio codice genetico, un nucleo tipologico e linguistico resistente e pensante capace di orientare e polarizzare ogni fase esistenziale del manufatto. Rimane da aggiungere che con il termine temporalità si intende quella combinazione di appartenenza a una consuetudine di scrittura architettonica e di simultanea estraneità rispetto alla stessa che conferisce a ciascun manufatto una tonalità del tutto specifica, immersa in una forma individuale e unica di narratività.

Un altro aspetto importante proposto da ogni operazione di restauro riguarda la possibilità di ricostruire l’integrità perduta del manufatto con le tecniche originarie in modo tale che, alla fine dell’intervento, non sia possibile, almeno teoricamente, rinvenire tracce visive degli eventi distruttivi accaduti. Tale eventualità è sempre la prima ad essere indagata ma spesso non si può metterla in atto, non tanto perché sia difficile filologicamente o costruttivamente, ma perché le trasformazioni subite dall’edificio - modificazioni fisiologiche o traumatiche – hanno poi determinato un nuovo ordine di significati architettonici. Esiste in altre parole una soglia oltre la quale la lacuna intervenuta produce un sistema di valori spaziali che si afferma come parte integrante dell’opera, un valore che si affianca a quelli iniziali e che chiede di essere conservato e amplificato.

Gli edifici storici non sono tutti uguali. Ci sono tra di essi differenze sostanziali che riguardano sia la loro tipologia sia la loro qualità intrinseca, sia ancora il ruolo che essi rivestono nell’organizzazione spaziale del territorio e della città. Esiste una gerarchia tipologico/funzionale per la quale un palazzo è più importante di un ponte e una chiesa  è, a causa dei suoi complessi valori simbolici e costruttivi, ritenuta più significativa dell’edificio conventuale che lo affianca,. Tra i manufatti appartenenti alla stessa tipologia esistono poi profonde differenze qualitative. Anche la collocazione di un manufatto diviene un fattore distintivo: un’architettura situata in una piazza centrale sarà considerata più meritevole di attenzione rispetto a una costruzione analoga eretta in un punto meno emergente. C’è poi un’ulteriore elemento discriminante. La storia dell’arte tende spesso a considerare gli edifici come contenitori di opere, piuttosto che interpretarli come autonome sequenze di segni tridimensionali disposti in un ordine strutturale, di cavità coordinate secondo logiche spaziali complesse, di superfici opportunamente gerarchizzate. Anche la storia dell’architettura finisce in fondo per privilegiare quegli edifici che possono configurarsi come una sintesi dei diversi linguaggi che partecipano delle arti del disegno per cui, quando un manufatto può disporre di un apparato di modanature, di stucchi, di bassorilievi, di sculture e di affreschi presentandosi allora come una vera e propria summa delle più varie espressioni plastiche e visive, riesce a proporre in modo più consistente anche i propri valori architettonici.

Tenendo presente le riflessioni appena esposte, l’intervento sul complesso monumentale dell’Ex-Convento di Santa Scolastica comporta un’azione all’interno di tre ambiti problematici che non vanno comunque considerati come separati, richiedendo per questo soluzioni autonome. Al contrario, essi devono confluire nella questione centrale e unitaria del futuro del complesso, da proiettare in un orizzonte aperto e articolato. Il primo di questi ambiti è l’interpretazione del testo. Occorre infatti entrare negli strati architettonici della grande fabbrica per decifrarne la sequenza temporale, per comprenderne il valore architettonico, per cogliere il senso narrativo prodotto dalla sovrapposizione di materie e di giaciture diverse. Tra questi strati è ovviamente compreso il bel restauro degli anni settanta il quale, seppure reso obsoleto nelle sue soluzioni dalle attuali normative per l’accessibilità e l’impiantistica, costituisce indubbiamente un riferimento essenziale per la nuova proposta di sistemazione del Museo Archeologico Provinciale. In poche parole un attento ascolto dei segni che compongono il complesso monumentale – ovvero una vera e propria ermeneutica del frammento - è una condizione obbligata perché sia possibile individuare una corretta strategia progettuale. Il secondo ambito riguarda la necessità di ricondurre l’insieme frammentario di spazi, di livelli e di strutture a un accettabile grado di agibilità funzionale, dando ad esso una lettura che gli restituisca a tale insieme una sua coerenza, seppure a posteriori. Il terzo ambito è quello concernente la relazione tra l’Ex Convento e la città. C’è bisogno infatti di ricostruire un rapporto tra il complesso monumentale, l’area archeologica di Piazza S. Pietro e il fronte a mare. Un rapporto essenziale per la ricostituzione di una organicità degli spazi e dei manufatti di Bari Vecchia.

Tornando alle considerazioni iniziali, l’intervento sull’ex Convento di Santa Scolastica si configura come un progetto destinato a reinserire la suggestiva concatenazione di spazi e di strutture nella città attuale. Nessun restauro raggiungerebbe i suoi obbiettivi se non riuscisse infatti a traformare un testo architettonico proveniente da epoche lontane in un architettura appartenente alla più piena contemporaneità.
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